Massimo Popolizio dà voce a Tolkien:«Non è amato solo dalla destra. Mio nipote lo ha letto tutto e non sa chi sia Giorgia Meloni» (2024)

È un anno fortunato per J.R.R. Tolkien, prima una mostra a lui dedicata all'interno della Galleria Nazionale D'Arte a Roma a celebrare il cinquantesimo anniversario dalla sua morte con intervento della presidente del consiglio Giorgia Meloni, adesso uno dei più grandi attori italiani che abbiamo, Massimi Popolizio, chiamato a dare voce alla trilogia Il signore degli Anelli, per Audible, sezione audiolibri di Amazon. È già disponibile il primo capitolo, La Compagnia dell'Anello (nato dal libro edito da Bompiani e tradotto da Ottavio Fatica) e in lavorazione la seconda parte della saga. Dopo avere portato a teatro e al cinema molti «cattivi» di oggi e di ieri, da Mussolini in M il Figlio del Secolo di Antonio Scurati che ha interpretato a teatro a Lord Voldemort, a cui ha dato la voce, nella saga di film su Harry Potter, Massimo Popolizio si è confrontato con gli epici personaggi di Tolkien. L'autore e intellettuale da sempre amato in particolare dal mondo della destra moderata ma anche estrema perché metafora dell’antitesi tra mondo moderno e mondo antico, tra progresso e tradizionalismo. Interpretazione che spesso è andata stretta agli appassionati veri del fantasy in generale e ai lettori di Tolkien di sinistra.

Lei come si posiziona in questa polemica su Tolkien, tra destra e sinistra?
«Io non credo che mio nipote che ha letto tutto il Signore degli Anelli sappia nemmeno chi è Giorgia Meloni, chi lo legge lo fa perché apprezza il romanzo. La polemica politica è qualcosa degradante quando leggi un libro. Tolkien lo leggono sia a sinistra che a destra, in realtà».

Dal teatro al cinema, il doppiaggio e oggi l'audiolibro. Che cosa le piace di questa dimensione?
«Quando leggi fai un altro mestiere rispetto a quando reciti, quando doppi o quando sei al cinema. È richiesta la capacità di far vedere all'ascoltatore quello che stai leggendo, io dico sempre vedere con le orecchie. Cercare di mostrare ascoltando per crearti delle emozioni che comunque sarebbero diverse se tu lo leggessi da solo».

Tutto questo solo con la voce.
«La mia interpretazione è inevitabile che sia predominante. Quando ti metti a leggere trasmetti anche una tua visione del mondo, del vedere le cose. La voce, naturalmente, diventa un elemento fondamentale in questo processo immaginifico».

In concreto come si fa?
«Dal punto di vista grammaticale è molto più semplice da spiegare. Per esempio quando leggi un libro fai una poggiatura su un aggettivo piuttosto che su un sostantivo diversa da quella che potresti fare un'altra persona leggendo».

Aveva già letto questo testo oppure è stata una prima volta?
«Non sono un fan del fantasy, non è il tipo di letteratura che prediligo. Ho tanti libri sul comodino da leggere prima. Comunque il bello di questo mestiere è anche che leggi qualcosa che non avresti mai letto, studi cose nuove».

In questo caso, seicento pagine.
«È stato faticoso, dodici turni a cinque ore al giorno. Per me leggere è anche un fatto organico, non è solo dire a voce alta della parole. C'è sempre un'energia da mettere che poi è quella che ti fa uscire sudato da questo piccolo gabbiotto dentro al quale leggi. Quando finisci il turno ci vogliono almeno dieci minuti per capire dove sei. Io leggo con gli occhiali, alzo poco la testa dal testo e quando finisco è come se uscissi da un sottomarino».

In che senso?
«È proprio un fatto di apnea, di rivedere la luce fuori, non è da tutti. Sicuramente ci sono lavori più faticosi ma ecco anche per leggere un libro, come diceva sempre un mio amico, ci vuole “gente pratica”».

Cosa le è piaciuto in particolare di questo testo?
«Certamente le battaglie sono molto forti e coinvolgenti ma quello che mi ha messo di fronte a delle difficoltà è il continuo cambio della descrizione dei paesaggi naturali che possono sembrare sempre uguali ma in realtà sono sempre diversi. Mi ricordo quando ho guardato la mappa di questo viaggio che Frodo Baggins e i suoi compagni devono fare verso Mordor, quando ero a pagina cinquecento avevano fatto due chilometri praticamente. Questo continuo ripetere i paesaggi naturali mi ha richiesto anche una capacità di diversificazione della mia voce in un certo senso».

Le manca il pubblico in questo tipo di performance?
«Per fortuna il pubblico non c'è. La lettura di un libro è sempre qualcosa che sta tra te, la pagina, la tua testa e l'immaginazione. Comunque sia, dato che è una cosa che succede all'impronta, cioè tu leggi e la tua voce viene registrata, è più fervida la tua immaginazione di come può essere la tua voce in quel momento ma è un fatto estremamente estemporaneo».

Che rapporto ha con i cattivi? Si è stancato di interpretarli?
«Io dico che sono come Jessica Rabbit, mi disegnano così ma non sono così cattivo. Non mi sono stufato, il cinema italiano è fatto così, se fai una cosa che funziona poi ti chiamano per farla sempre. È più difficile fare i buoni ma la verità è che i buoni non li fa nessuno. Ci possono essere i finti buoni, la gente che soffre, il politically correct, tutto questo si fa, le fiction dove c'è gente che piange, che viene trattata male, Mare Fuori, Mare dentro. Dal punto di vista interpretativo come dal punto di vista letterario, le cose migliori sono sempre quelle che riguardano qualcosa di non così proprio corretto. Nella scorrettezza si trova più humus per trovare qualcosa».

Ha capito qualcosa in più rispetto alla sfera più oscura dell' animo umano?
«La mia dimensione dell'umano sta nella maggior parte dei casi sulle tavole del palcoscenico, in sala doppiaggio faccio fatica. Oggi per esempio al doppiaggio si segue una linea della tua voce che dev'essere quasi uguale al grafico della voce dell'attore che stai doppiando».

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